Partiamo dall'aspetto istruttivo, o meglio culturale, perchè in Italia la cultura del vino è notevole e nobile, e vale la pena di dirlo quando in questo disgraziato paese c'è qualcosa di buono.
Mi hanno insegnato a degustare il vino. A me, che fino ad ora lo gustavo semplicemente.
Per l'operazione occorre un calice ah hoc, per ogni tipo di vino, o distillato, calice che deve essere assolutamente pulito e trasparente. Nel malaugurato caso che invece abbia un cattivo odore occorre avvinarlo, cioè sciacquarlo con il vino che si intende degustare. L'operazione, che richiede una certa abilità, si fa con pochissimo vino e possibilmente riciclando lo stesso liquido per più calici.
Poi ti versano due dita nel calice pulito e tu lo assaggi. Ma prima lo fai sciabordare (non dicevano così, ma facciamo a capirsi) per vedere gli archetti alcolici, le bollicine (bonzole a Lucca e perlage per chi se ne intende) che devono essere persistenti, altrimenti il vino è una ciofeca. Ne osservi il colore, contro un fondo bianco per non confonderti. Quindi si passa all'olfatto, che ci aiuta a individuare tutti i profumi del vino, che per di più cambiano se tu lo tieni lì un po' anzichè tracannarlo di un fiato, come facevo al'inizio.
E adesso viene la parte difficile: devi assaggiare solo poche gocce del prezioso liquido e gettare il resto nell'apposito ed elegante bidoncino. Cosa che, devo ammettere, all'inizio non mi riusciva benissimo.
Ma quando ho cominciato a perdere la convergenza e la campanatura delle gambe ho avuto uno scatto di orgoglio e mi sono impegnata. E mi sono anche rimpinzata di taralli, pecorino, pecorone e salami. Tanto per. Diluendo il tutto con alcuni litri di acqua naturale, perchè la nutrizionista che è in me ha preso il sopravvento, evitandomi una sbronza con annessa e colossale figura barbina.
Invece mi sono difesa, diventando piacevolmente leggera e recettiva agli odori, colori, sapori e perfino discorsi (non proprio alla lettera, questi ultimi).