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venerdì 21 giugno 2019


Speciale RISO: come sceglierlo e cucinarlo perché abbia minore impatto sul vostro girovita

Molte persone preferiscono il riso alla pasta, nella convinzione che il riso, privo di glutine, sia un alimento più sano, dietetico, che faccia dimagrire, o almeno ingrassare meno. Le cose non stanno proprio così e il riso, ricco di amido, è uno degli alimenti che più contribuiscono al carico glicemico della dieta, per lo meno nei paesi asiatici che ne consumano molto più di noi. In seguito alle numerose richieste di inserire riso al posto degli altri cereali ho voluto approfondire la materia. Ecco quello che ho trovato.
Intanto: c’è riso e riso.
La prima cosa da sapere è che la forma del chicco influenza l’IG del riso. Possibile? Sembra di si. L’amido (polimero del glucosio, quindi alimento zuccherino per eccellenza) esiste nei chicchi di riso in due forme: l’amilosio (a catena lineare) e l’amilopectina (a catena ramificata). Il primo viene smontato in molecole di glucosio più lentamente della seconda, spiegando la risposta glicemica e insulinemica più lenta dei risi a chicco lungo rispetto a quelli a chicco medio e tondo. Gli autori dell’articolo si sbilanciano anche nel dire che i risi a chicco lungo sono indicati nell’alimentazione dei diabetici.

Riso integrale o raffinato? Sorprendentemente, sembra che la cosa non faccia una grande differenza. Il riso integrale richiede necessariamente tempi di cottura più lunghi rispetto a quello bianco, ma la cottura prolungata migliora la disponibilità dell’amido e quindi aumental’IG del riso. Il tempo (e la modalità) di cottura influenzano le caratteristiche del riso, a parità di altri fattori come la varietà del riso (e, ovviamente, la composizione del piatto, su cui torneremo dopo).
La cottura al dente abbassa l’IG del riso (come per la pasta). E abbassa ancora la biodisponibilità dell’amido il raffreddare il riso dopo la cottura (retrogradazione dell’amido) come per fare il riso freddo.
Il riso Parbolied (che ha ricevuto un trattamento termico prima del confezionamento, permettendo tra l’altro ai chicchi di resistere meglio alla cottura) tende ad avere un IG più basso.
Riassumendo: se mangi spesso riso ma hai la pancetta, tieni presente questi accorgimenti:

1)  Scegli varietà a chicco lungo.
Le trovi, ad esempio, nei negozi etnici ma a Lucca puoi andare anche da Prospero.
2) Integrale o bianco, dipende dai gusti.
(ma ricorda che la fibra è un nutriente necessario e da qualche parte lo devi pur prendere!)
3)  Cotture rapide, al dente.
4) Il riso freddo è una buona idea (ma dipende da come lo condisci!)
5)  Se vuoi fare il risotto (che richiede il chicco tondo e va mangiato caldo) gioca sulle piccole quantità. 50 o 60 grammi di riso Carnaroli o Vialone sono una porzione rispettabile se ci mettiamo insieme una generosa quantità di verdura. Magari verde o comunque a foglia.
6) E ricorda, una volta per tutte, che il riso in bianco non fa dimagrire!


E ancora, last but not list.
L’impatto su glicemia e insulinemia di un piatto dipende da tutti i suoi ingredienti. Se aggiungiamo proteine, lipidi, fibre al nostro riso, avremo un piatto più equilibrato e un impatto minore. Ma questo lo sapevamo già, giusto?

Buon appetito!

Per saperne di più, iniziate da qui:






domenica 27 gennaio 2019


Le diete povere di carboidrati, che diminuiscono l’apporto di carboidrati a favore di proteine, grassi o entrambe, sono largamente usate allo scopo di perdere velocemente peso. Ma quali sono gli effetti a lungo termine di questo tipo di diete?

Un recente articolo, pubblicato nell’agosto 2018 sul Lancet, ha esaminato la correlazione tra apporto alimentare di carboidrati e mortalità.
Lo studio ha preso in esame 15428 soggetti adulti, età compresa tra 45 e 64 anni, abitanti negli USA, arruolati nel biennio 1987 – 1989 in occasione di uno studio sul rischio di arteriosclerosi e tenute sotto osservazione per un periodo di 25 anni.

In base a questo studio, la correlazione tra mortalità e apporto di carboidrati segue una curva a U, con il minore rischio di morte associato ad una percentuale di carboidrati del 50 55% dell’apporto calorico totale. Apporti di carboidrati sia inferiori che superiori a questa percentuale si associano entrambe ad un rischio di morte più elevato. (vedi anche il grafico, preso direttamente dall'articolo).


Questo risultato è simile a quanto osservato negli altri studi di coorte presi in esame dagli autori del lavoro, (per un totale di 432179 soggetti!).

Inoltre, sempre secondo gli autori, la mortalità variava anche in funzione dell’origine degli altri macronutrienti della dieta. In particolare, la mortalità più elevata si osserva quando, al posto dei carboidrati si assumevano proteine o grassi di origine animale. Mentre l’uso di fonti vegetali è associato a mortalità minore.

Per chi volesse approfondire l’argomento può fare riferimento all’articolo Dietary carbohydrate intake and mortality: a prospective cohort study and meta-analysis,
Seidelmann et al. Lancet Public Health 2018; 3:419 - 28

lunedì 25 gennaio 2016

Tra cibo e mente

Sono da sempre convinta che ci sia uno stretto legame tra le abitudini alimentari e le vicissitudini della nostra vita. 

Quando siamo tristi, ci sentiamo soli ma anche se siamo felici, confusi o eccitati le nostre  sensazioni si riflettono sul nostro modo di mangiare, facendoci desiderare determinati alimenti invece di altri. Tutto ciò influenza in modo importante le nostre abitudini e di conseguenza il nostro stato di salute

E questo è vero in presenza di disturbi del comportamento alimentare conclamati (anoressia, bulimia) ma riguarda anche tutte le persone cosiddette “normali”, sempre che abbia senso parlare di normalità in questo ambito, poichè ciascuno è normale a modo suo.

Per elaborare una dieta, accanto alla (imprescindibile) conoscenza della fisiologia e dei fabbisogni energetici e nutritivi, occorre  tenere conto di questi aspetti, ma attualmente mancano linee guida condivise su come operare.

E’ per questo che ho approfittato dell’occasione, offertami dall’ENPAB, di collaborare allo studio “Indagine sulle abitudini alimentari e incidenza sulla dipendenza da cibo degli italiani che si rivolgono ai nutrizionisti».

Lo studio, che coinvolge una rete di più di 1000 nutrizionisti in tutta Italia, prevede una prima fase di raccolta informazioni. La partecipazione dei nostri pazienti è su base volontaria. 

A chi si rivolgerà al mio ambulatorio io chiederò se vorrà partecipare allo studio, e in caso affermativo, fornirò un apposito questionario da compilare in maniera anonima e in autonomia

I questionari raccolti da tutti i nutrizionisti nell’arco di un anno serviranno come base per conoscere a fondo il legame tra alimentazione e dipendenza dal cibo. Serviranno per elaborare in seguito LINEE GUIDA che renderanno più efficace e scientificamente valido il nostro lavoro di nutrizionisti.


E’ bene precisare che nessuno dei miei pazienti sarà obbligato a partecipare, ne dovrà giustificarsi in caso di diniego.


A quanti accetteranno di partecipare va fino da ora il mio ringraziamento.

domenica 24 gennaio 2016

Dolci si o dolci no?

Inverno, freddo e voglia di dolci.
Non è una perversione della gola, è una reazione normale alle basse temperature e alle lunghe ore di buio di questa stagione. Non a caso a questa stagione si celebrano festività a base di luci, alimenti calorici grassi e dolci. Alcune specie animali, certamente più evolute della nostra, fanno ancora di meglio e vanno in letargo.

Per chi sta a dieta, questo è notoriamente un periodaccio, la voglia di cose dolci, incentivata anche dalle pubblicità a tutte le ore di cioccolatini e merendine, si scontra con l'imperativo categorico di dovervi rinunciare. O perdi la linea o perdi la ragione, spesso il dilemma è questo.

Ma è poi così vero che dolci e alimentazione equilibrata non sono compatibili?

Un dolce alla fine è un cibo come un altro, e inserirlo in una giornata alimentare senza fare danni è ancora una questione di equilibrio. Conoscendo (e modificando) gli ingredienti si può fare.

I dolci sono fonte di abbondanti carboidrati e aumentano il carico glicemico dei pasti. Stimolano i rilascio di insulina, e il resto lo sappiamo.
 Allora per rendere un dolce meno pericoloso possiamo lavorare sulla ricetta per abbassarne il carico glicemico. Come? Aumentando l'apporto di proteine, di fibre e non limitando troppo la quantità di grassi.

Possiamo usare farina integrale macinata a pietra al posto della "00".
La farina di grano saraceno è ricca di proteine, quella di avena o di segale molto più ricca di fibre.
Ma si possono usare anche fiocchi di avena interi (o grossolanamente macinati con frullino di casa). Da evitare invece amido di mais, fecola di patate, farina di riso che sono tutti ad alto indice glicemico.

La frutta apporta fibre, sapore, colore, e fa volume senza aumentare troppo l'apporto di energia.
Zucca e carote sono ingredienti insoliti ma di sicuro effetto, e in Toscana si fanno anche le torte di erbi e di zucchine (la scarpaccia viareggina).

Vaniglia, cannella, zafferano e addirittura peperoncino. Spezie che danno sapore senza fare danno.

Utile l'aggiunta di cacao amaro (fonte di fibra e proteine).
Evitiamo invece il cacao solubile (praticamente solo zucchero) e le farciture a base di crema spalmabile alle nocciole (ricchissima di grassi di pessima qualità).

Uova e latte apportano proteine e contribuiscono all'equilibrio nutrizionale del dolce. Il latte vegetale invece (e soprattutto quello di cereali) apporta sostanzialmente solo zucchero...non ce n'è bisogno.

E a proposito di zucchero: bianco o di canna?
E' lo stesso!
 Lo zucchero, sia di canna che di barbabietola ha lo stesso apporto di zuccheri e lo stesso indice glicemico. E si tratta in entrambe i casi di prodotti  raffinati (perchè dalla canna  allo zucchero di canna ce ne corre...).
Il miele? Ha indice glicemico più alto del saccarosio.
Il fruttosio? Non è più indicato dello zucchero comune.
 In conclusione, lo zucchero è zucchero, si tratta di sceglierlo in base ai gusti (e al prezzo!) e poi metterne la minima quantità utile.



Un dolce fatto con questa filosofia diventa un alimento come un'altro, in assenza di specifiche controindicazioni ce lo possiamo permettere. Magari poi si va a a fare una girata.



giovedì 24 dicembre 2015

Info cioccolato: quello che fa bene, quello che fa male, e a chi....






Il cioccolato è un alimento di origine vegetale, derivante della lavorazione dei semi (fave) di cacao. 

Coltivato già dalle civiltà precolombiane, era usato come spezia e ingrediente di piatti salati, un po' come succede adesso con il mole messicano, ma anche il con nostrale biroldo o mallegato, insaccato tipico toscano che  può contenere cioccolata.

Le fave di cacao, anche dopo la lavorazione, non hanno sapore dolce ma aromatico e astringente.

Eppure il cioccolato da noi è un ingrediente per prodotti dolciari: tavolette, cioccolatini, biscotti, cereali da colazione, creme da spalmare, barrette e gelati. In tutti questi casi il cioccolato è appunto uno degli ingredienti, insieme allo zucchero e a grassi più o meno salutari.

Il cioccolato è stato a lungo ritenuto dannoso per la salute, accusato di favorire acne e aumento di peso, carie dentale. Inadatto ad un'alimentazione sana ed equilibrata. 

Invece recentemente è stato rivalutato. Oggetto di numerosi studi e pubblicazioni, gli è stato anche dedicato un importante cluster all'EXPO di Milano 2015.

Ecco alcune delle proprietà salutistiche del seme del Theobroma cacao (cibo degli dei, non a caso..

Amico del cervello, grazie all'azione neurotrofica e neurostimolante dei suoi alcaloidi  e agli effetti vasoattivi dei suoi flavonoidi sul microcircolo cerebrale, il cacao stimolerebbe apprendimento e memoria, e sarebbe un blando antidepressivo.

Amico del cuore: riducendo i fattori di rischio cardiovascolare, migliorando il profilo lipidico e la colesterolemia e abbassando la pressione sanguigna.

Non nemico della linea, perchè aumenta la sensibilità all'insulina.

L'apporto energetico della cioccolata, va detto,  non è trascurabile: per 100 g di cioccolata fondente si parla di 500 Kcalorie, 3 g proteine, 33 g di grassi e 60 g di carboidrati, peraltro a indice glicemico non particolarmente preoccupante.

Ma la dose"terapeutica" di 20 g di cioccolata (sono 2 o 3 quadretti) apporta solo 100 Kcal, fattibile anche da chi segue regimi ipocalorici. E vale sempre la pena di ricordare che un'alimentazione sana è soprattutto una questione di equilibrio tra nutrienti, non di conteggio ossessivo delle calorie.

Tante virtù dunque. Ma di quale cioccolato stiamo parlando

Del cioccolato fondente, che abbia (almeno) una percentuale di cacao pari al 70% (percentuali di 75, 80, 85 rendono il prodotto più amaro ma ci si abitua volentieri...).

Oppure di cacao amaro, da aggiungere ad esempio alla prima colazione. In questo caso le proprietà stimolanti del cacao si sommano a quelle del caffè, con un effetto sveglia ancora migliore. Si segnala anche l'apporto di fibra del cacao amaro, interessante ad esempio nei dolci casalinghi, dove può contribuire ad abbassare l'indice glicemico.

Il cioccolato, magari insieme ad un buon pane a lievitazione naturale, è anche adatto come spuntino - integratore per gli sportivi, o semplicemente quando ci si accinge a fare un'attività fisicamente impegnativa. In questo caso l'elevato apporto calorico non è assolutamente un problema.

Il discorso cambia, e molto, se parliamo di prodotti dolciari "al cioccolato" che però contengono anche e soprattutto altre cose. 

Le stesse tavolette fondenti possono trarre in inganno: se lo zucchero è riportato come primo ingrediente, stiamo acquistando e mangiando una tavoletta di zucchero, non di cacao. 

Ancora più insidiosi sono i cioccolatini, che abbondano di zucchero ma anche di grassi vegetali, che servono a rendere più "scioglievole" il ripieno. Mentre l'aggiunta di nocciole, mandorle, pistacchi non è un problema.

Attenzione anche alle creme da spalmare: il contenuto di grassi vegetali come l'olio di palma, è ancora più elevato, proprio per aumentare la spalmabilità del prodotto. Anche se ci sono creme, come la spalmabile della Novi, che usano il pregiato burro di cacao come unica fonte di grasso. Costa un po di più, ma la qualità si paga....


In ogni caso è consigliabile come sempre un attenta consultazione dell'etichetta.



E adesso, in breve le poche controindicazioni del cioccolato. 
Si tratta di un alimento istamino liberatore, in grado di stimolare il rilascio di istamina, ed è sconsigliabile agli allergici perché può esacerbare la reazione allergica. Il consumo di cioccolata è stato anche associato ad attacchi di emicrania ed è sempre controindicato in caso di gastrite, ernia iatale e reflusso esofageo. 





lunedì 7 dicembre 2015

Dal caffè nascono i funghi

Da una cosa buona come il caffè, non poteva che nascere qualcosa di buono anche dopo il tradizionale ciclo produttivo. Ed è proprio durante la mia quotidiana passeggiata caffè per il centro di Lucca (la famosa mezz'ora al giorno che dovrebbe abbassare l'insulinoresistenza!) che ho fatto la mia conoscenza con la Funghi Espresso, ditta start up di Capannori (Lucca) che ha trovato il sistema di far crescere funghi del genere Pleurotus su un substrato ricavato dai fondi di caffè dei bar :)

Il semplicissimo processo produttivo consiste nella "semina" del substrato con spore del fungo, e nell'impacchettamento del terreno così ricavato il pratiche scatole che poi servono alla coltivazione casalinga del fungo. Basta annaffiarle!

Si producono così ben 3 varietà di Pleurotus, con caratteristiche organolettiche leggermente diverse, e adatte a diversi usi culinari, dal contorno ai piatti unici. Sul sito www.funghiespresso.com ci sono foto e ricette. Sono anche diversi i ristoranti che usano questo fungo nei loro piatti.

I funghi Pleurotus si segnalano per un contenuto ma interessante apporto proteico, con proteine di buon valore nutrizionale che ben complementano, ad esempio, quelle della pasta o della polenta, e possono trovare utile spazio nella dieta dei vegetariani.

Si ricorda che l'apporto calorico e lipidico dei funghi è assolutamente scarso, da questo punto di vista il fungo è del tutto assimilabile alla verdura. 

I funghi sella specie Pleurotus sono noti per le loro proprietà ipercolesterolemizzanti, in virtù della molecola lovastatina, ed è possibile che, se cresciuti su un substrato ricco di polifenoli, come il caffè, acquisiscano anche le stesse proprietà antiossidanti e protettive nei confronti del diabete non insuino dipendente e delle patologie neurovegetative della bevanda.  Pare invece che il sapore rimanga quello del fungo.

Dopo il raccolto dei funghi (diverse volte, a quanto pare) il substrato di coltura può servire come compost per le piante acidofile (come rododendro e azalea). 

Nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma......


venerdì 6 novembre 2015

Vegani: da dove prendere le proteine

La dieta vegana può avere effetti metabolici positivi,  (diminuita incidenza di obesità, ipertensione, malattie cardiovascolari), ma, se non equilibrata, espone al rischio di carenze nutrizionali. E' il caso soprattutto delle proteine, (ma anche del ferro della vitamina B12).

Le proteine sono  nutrienti chiave della nostra dieta, avendo ruolo sia plastico che funzionale. Sono proteine gli i muscoli, gli enzimi, i neurotrasmettitori, gli anticorpi. Nel nostro organismo non esistono in pratica proteine di riserva. In mancanza di un adeguato apporto con la dieta il corpo attinge alle proteine strutturali depauperando la massa magra, con scadimento dello stato di salute.

Per evitare carenza proteica nelle diete vegane occorrono specifiche informazioni circa:

  • il nostro fabbisogno di proteine qualitativo e quantitativo
  • le caratteristiche delle proteine dei diversi alimenti vegetali.

Partiamo dal fabbisogno proteico:

i LARN raccomandano un assunzione pari a 0,9 grammi di proteina per chilo di peso al giorno.

Ci si riferisce, in questo caso, ad un individuo adulto, sano, che segua una dieta onnivora e isocalorica e pratichi adeguata attività fisica. Se ci si discosta da questi presupposti, l'apporto proteico raccomandato può essere superiore. E' il caso di chi segue diete dimagranti (ipocaloriche), dei sedentari, dei soggetti in età evolutiva, gravidanza, allattamento.

E appunto, dei vegani. In questo caso, in ragione della minore digeribilità e qualità delle fonti proteiche, si raccomanda una maggiorazione pari al 5 - 10 %.

In pratica: per una donna di 60 chili sono raccomandati 60 g di proteine al giorno, minimo.

L'assunzione quotidiana di questo, pur modesto, quantitativo proteico, può non essere facile se la stessa donna, vegana, segue un regime ipocalorico. 

Ma c'è un aspetto in più, che riguarda la qualità delle proteine vegetali. Ed è un aspetto importante che merita un approfondimento. 

La qualità di una proteina è la capacità di apportare la giusta miscela di amminoacidi. Dipende dalla composizione in amminoacidi della proteina, e in particolare dalla presenza in adeguate quantità di amminoacidi essenziali, cioè quelli che l'organismo non è in grado di sintetizzare e deve
necessariamente assumere con la dieta.


Gli amminoacidi essenziali, per un adulto in buona salute, sono 9 (su 20 amminoacidi che compongono le proteine corporee). Ora, se io vegano assumo proteine di bassa qualità. posso non coprire il mio fabbisogno in aminoacidi essenziali. Sarò in pratica una persona malnutrita, a dispetto dell'apporto energetico e proteico magari sufficiente.

Questo rischio è molto meno probabile negli onnivori, poiché le proteine animali (da carni, pesce, uova e latticini) sono complete dal punto di vista della composizione in amminoacidi.
Invece, le proteine vegetali, che noi ricaviamo essenzialmente dai cereali (grano, riso, mais etc) e dai legumi (fagioli, ceci etc) hanno una composizione carente, o meglio inadatta a soddisfare le nostre esigenze nutrizionali. E la cosa non ci deve meravigliare: i semi dei cereali e dei legumi si sono evoluti allo scopo di sostenere la crescita delle relative piantine, non la nostra!

Ma la conoscenza della composizione delle proteine derivanti dalle diverse fonti vegetali ci viene in aiuto. Sappiamo che

i cereali sono carenti in lisina e triptofano
i legumi sono carenti in metionina e cisteina

se io assumo, magari nello stesso piatto, cereali e legumi insieme, ottengo una qualità proteica paragonabile a quella della carne.
 Sarà un caso che molti piatti poveri della nostra (e altrui) tradizione gastronomica associano proprio cereali e legumi?
 Pasta e fagioli, riso e lenticchie o piselli, tortillas di mais con fagioli, cus cus con i ceci. 
I nostri antenati non conoscevano la biochimica ma sapevano ciò che li  faceva stare bene. Diversamente, noi non saremo qui, adesso.

La dieta vegana equilibrata si deve basare su un apporto quotidiano di cereali e legumi. 

Questo post sarebbe incompleto se non accennassi ad altre fonti proteiche vegetali, che sono la soia (è un legume un po particolare) e gli pseudo cereali grano saraceno, quinoa. La cui qualità proteica è superiore a quella di cereali e legumi. E poi c'è la frutta oleosa. Ma queste fonti proteiche difficilmente potranno coprire, per varie ragioni, da sole il fabbisogno della nostra dieta.