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giovedì 24 dicembre 2015

Info cioccolato: quello che fa bene, quello che fa male, e a chi....






Il cioccolato è un alimento di origine vegetale, derivante della lavorazione dei semi (fave) di cacao. 

Coltivato già dalle civiltà precolombiane, era usato come spezia e ingrediente di piatti salati, un po' come succede adesso con il mole messicano, ma anche il con nostrale biroldo o mallegato, insaccato tipico toscano che  può contenere cioccolata.

Le fave di cacao, anche dopo la lavorazione, non hanno sapore dolce ma aromatico e astringente.

Eppure il cioccolato da noi è un ingrediente per prodotti dolciari: tavolette, cioccolatini, biscotti, cereali da colazione, creme da spalmare, barrette e gelati. In tutti questi casi il cioccolato è appunto uno degli ingredienti, insieme allo zucchero e a grassi più o meno salutari.

Il cioccolato è stato a lungo ritenuto dannoso per la salute, accusato di favorire acne e aumento di peso, carie dentale. Inadatto ad un'alimentazione sana ed equilibrata. 

Invece recentemente è stato rivalutato. Oggetto di numerosi studi e pubblicazioni, gli è stato anche dedicato un importante cluster all'EXPO di Milano 2015.

Ecco alcune delle proprietà salutistiche del seme del Theobroma cacao (cibo degli dei, non a caso..

Amico del cervello, grazie all'azione neurotrofica e neurostimolante dei suoi alcaloidi  e agli effetti vasoattivi dei suoi flavonoidi sul microcircolo cerebrale, il cacao stimolerebbe apprendimento e memoria, e sarebbe un blando antidepressivo.

Amico del cuore: riducendo i fattori di rischio cardiovascolare, migliorando il profilo lipidico e la colesterolemia e abbassando la pressione sanguigna.

Non nemico della linea, perchè aumenta la sensibilità all'insulina.

L'apporto energetico della cioccolata, va detto,  non è trascurabile: per 100 g di cioccolata fondente si parla di 500 Kcalorie, 3 g proteine, 33 g di grassi e 60 g di carboidrati, peraltro a indice glicemico non particolarmente preoccupante.

Ma la dose"terapeutica" di 20 g di cioccolata (sono 2 o 3 quadretti) apporta solo 100 Kcal, fattibile anche da chi segue regimi ipocalorici. E vale sempre la pena di ricordare che un'alimentazione sana è soprattutto una questione di equilibrio tra nutrienti, non di conteggio ossessivo delle calorie.

Tante virtù dunque. Ma di quale cioccolato stiamo parlando

Del cioccolato fondente, che abbia (almeno) una percentuale di cacao pari al 70% (percentuali di 75, 80, 85 rendono il prodotto più amaro ma ci si abitua volentieri...).

Oppure di cacao amaro, da aggiungere ad esempio alla prima colazione. In questo caso le proprietà stimolanti del cacao si sommano a quelle del caffè, con un effetto sveglia ancora migliore. Si segnala anche l'apporto di fibra del cacao amaro, interessante ad esempio nei dolci casalinghi, dove può contribuire ad abbassare l'indice glicemico.

Il cioccolato, magari insieme ad un buon pane a lievitazione naturale, è anche adatto come spuntino - integratore per gli sportivi, o semplicemente quando ci si accinge a fare un'attività fisicamente impegnativa. In questo caso l'elevato apporto calorico non è assolutamente un problema.

Il discorso cambia, e molto, se parliamo di prodotti dolciari "al cioccolato" che però contengono anche e soprattutto altre cose. 

Le stesse tavolette fondenti possono trarre in inganno: se lo zucchero è riportato come primo ingrediente, stiamo acquistando e mangiando una tavoletta di zucchero, non di cacao. 

Ancora più insidiosi sono i cioccolatini, che abbondano di zucchero ma anche di grassi vegetali, che servono a rendere più "scioglievole" il ripieno. Mentre l'aggiunta di nocciole, mandorle, pistacchi non è un problema.

Attenzione anche alle creme da spalmare: il contenuto di grassi vegetali come l'olio di palma, è ancora più elevato, proprio per aumentare la spalmabilità del prodotto. Anche se ci sono creme, come la spalmabile della Novi, che usano il pregiato burro di cacao come unica fonte di grasso. Costa un po di più, ma la qualità si paga....


In ogni caso è consigliabile come sempre un attenta consultazione dell'etichetta.



E adesso, in breve le poche controindicazioni del cioccolato. 
Si tratta di un alimento istamino liberatore, in grado di stimolare il rilascio di istamina, ed è sconsigliabile agli allergici perché può esacerbare la reazione allergica. Il consumo di cioccolata è stato anche associato ad attacchi di emicrania ed è sempre controindicato in caso di gastrite, ernia iatale e reflusso esofageo. 





lunedì 7 dicembre 2015

Dal caffè nascono i funghi

Da una cosa buona come il caffè, non poteva che nascere qualcosa di buono anche dopo il tradizionale ciclo produttivo. Ed è proprio durante la mia quotidiana passeggiata caffè per il centro di Lucca (la famosa mezz'ora al giorno che dovrebbe abbassare l'insulinoresistenza!) che ho fatto la mia conoscenza con la Funghi Espresso, ditta start up di Capannori (Lucca) che ha trovato il sistema di far crescere funghi del genere Pleurotus su un substrato ricavato dai fondi di caffè dei bar :)

Il semplicissimo processo produttivo consiste nella "semina" del substrato con spore del fungo, e nell'impacchettamento del terreno così ricavato il pratiche scatole che poi servono alla coltivazione casalinga del fungo. Basta annaffiarle!

Si producono così ben 3 varietà di Pleurotus, con caratteristiche organolettiche leggermente diverse, e adatte a diversi usi culinari, dal contorno ai piatti unici. Sul sito www.funghiespresso.com ci sono foto e ricette. Sono anche diversi i ristoranti che usano questo fungo nei loro piatti.

I funghi Pleurotus si segnalano per un contenuto ma interessante apporto proteico, con proteine di buon valore nutrizionale che ben complementano, ad esempio, quelle della pasta o della polenta, e possono trovare utile spazio nella dieta dei vegetariani.

Si ricorda che l'apporto calorico e lipidico dei funghi è assolutamente scarso, da questo punto di vista il fungo è del tutto assimilabile alla verdura. 

I funghi sella specie Pleurotus sono noti per le loro proprietà ipercolesterolemizzanti, in virtù della molecola lovastatina, ed è possibile che, se cresciuti su un substrato ricco di polifenoli, come il caffè, acquisiscano anche le stesse proprietà antiossidanti e protettive nei confronti del diabete non insuino dipendente e delle patologie neurovegetative della bevanda.  Pare invece che il sapore rimanga quello del fungo.

Dopo il raccolto dei funghi (diverse volte, a quanto pare) il substrato di coltura può servire come compost per le piante acidofile (come rododendro e azalea). 

Nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma......


venerdì 6 novembre 2015

Vegani: da dove prendere le proteine

La dieta vegana può avere effetti metabolici positivi,  (diminuita incidenza di obesità, ipertensione, malattie cardiovascolari), ma, se non equilibrata, espone al rischio di carenze nutrizionali. E' il caso soprattutto delle proteine, (ma anche del ferro della vitamina B12).

Le proteine sono  nutrienti chiave della nostra dieta, avendo ruolo sia plastico che funzionale. Sono proteine gli i muscoli, gli enzimi, i neurotrasmettitori, gli anticorpi. Nel nostro organismo non esistono in pratica proteine di riserva. In mancanza di un adeguato apporto con la dieta il corpo attinge alle proteine strutturali depauperando la massa magra, con scadimento dello stato di salute.

Per evitare carenza proteica nelle diete vegane occorrono specifiche informazioni circa:

  • il nostro fabbisogno di proteine qualitativo e quantitativo
  • le caratteristiche delle proteine dei diversi alimenti vegetali.

Partiamo dal fabbisogno proteico:

i LARN raccomandano un assunzione pari a 0,9 grammi di proteina per chilo di peso al giorno.

Ci si riferisce, in questo caso, ad un individuo adulto, sano, che segua una dieta onnivora e isocalorica e pratichi adeguata attività fisica. Se ci si discosta da questi presupposti, l'apporto proteico raccomandato può essere superiore. E' il caso di chi segue diete dimagranti (ipocaloriche), dei sedentari, dei soggetti in età evolutiva, gravidanza, allattamento.

E appunto, dei vegani. In questo caso, in ragione della minore digeribilità e qualità delle fonti proteiche, si raccomanda una maggiorazione pari al 5 - 10 %.

In pratica: per una donna di 60 chili sono raccomandati 60 g di proteine al giorno, minimo.

L'assunzione quotidiana di questo, pur modesto, quantitativo proteico, può non essere facile se la stessa donna, vegana, segue un regime ipocalorico. 

Ma c'è un aspetto in più, che riguarda la qualità delle proteine vegetali. Ed è un aspetto importante che merita un approfondimento. 

La qualità di una proteina è la capacità di apportare la giusta miscela di amminoacidi. Dipende dalla composizione in amminoacidi della proteina, e in particolare dalla presenza in adeguate quantità di amminoacidi essenziali, cioè quelli che l'organismo non è in grado di sintetizzare e deve
necessariamente assumere con la dieta.


Gli amminoacidi essenziali, per un adulto in buona salute, sono 9 (su 20 amminoacidi che compongono le proteine corporee). Ora, se io vegano assumo proteine di bassa qualità. posso non coprire il mio fabbisogno in aminoacidi essenziali. Sarò in pratica una persona malnutrita, a dispetto dell'apporto energetico e proteico magari sufficiente.

Questo rischio è molto meno probabile negli onnivori, poiché le proteine animali (da carni, pesce, uova e latticini) sono complete dal punto di vista della composizione in amminoacidi.
Invece, le proteine vegetali, che noi ricaviamo essenzialmente dai cereali (grano, riso, mais etc) e dai legumi (fagioli, ceci etc) hanno una composizione carente, o meglio inadatta a soddisfare le nostre esigenze nutrizionali. E la cosa non ci deve meravigliare: i semi dei cereali e dei legumi si sono evoluti allo scopo di sostenere la crescita delle relative piantine, non la nostra!

Ma la conoscenza della composizione delle proteine derivanti dalle diverse fonti vegetali ci viene in aiuto. Sappiamo che

i cereali sono carenti in lisina e triptofano
i legumi sono carenti in metionina e cisteina

se io assumo, magari nello stesso piatto, cereali e legumi insieme, ottengo una qualità proteica paragonabile a quella della carne.
 Sarà un caso che molti piatti poveri della nostra (e altrui) tradizione gastronomica associano proprio cereali e legumi?
 Pasta e fagioli, riso e lenticchie o piselli, tortillas di mais con fagioli, cus cus con i ceci. 
I nostri antenati non conoscevano la biochimica ma sapevano ciò che li  faceva stare bene. Diversamente, noi non saremo qui, adesso.

La dieta vegana equilibrata si deve basare su un apporto quotidiano di cereali e legumi. 

Questo post sarebbe incompleto se non accennassi ad altre fonti proteiche vegetali, che sono la soia (è un legume un po particolare) e gli pseudo cereali grano saraceno, quinoa. La cui qualità proteica è superiore a quella di cereali e legumi. E poi c'è la frutta oleosa. Ma queste fonti proteiche difficilmente potranno coprire, per varie ragioni, da sole il fabbisogno della nostra dieta.

venerdì 16 ottobre 2015

Quelli che il glutine

Sempre più  persone lamentano disturbi  associati al consumo di grano e  derivati (pane, pasta, pizza etc). Spesso sono soggetti negativi al test per la celiachia. 

Accanto alla celiachia si segnala un altra condizione,  emersa negli ultimi anni, la sensibilità al glutine non celiaca (Gluten Sensitivity GS). I soggetti GS presentano sintomi intestinali (gonfiore, irregolarità intestinali) ed extraintestinali. Sintomi che scompaiono con una dieta priva di glutine.


Il mercato del gluten free, e i locali che offrono piatti privi di glutine, è anch'esso in aumento, e spesso si rivolge alla dieta senza glutine anche chi non ha problemi, ma spera così di dimagrire. O migliorare le performances sportive.

Anche con la complicità di etichettature e campagne pubblicitarie a volte fuorvianti, come quella del riso "dietetico perchè senza glutine". E dell'attrazione che esercita, su un certo tipo di consumatore (tipicamente giovane e di sesso femminile) la dicitura "privo di" su un qualunque prodotto alimentare.

La questione glutine è di moda nell'ambulatorio del nutrizionista; ecco le domande (e le risposte) più frequenti che mi vengono rivolte.


Come faccio a sapere se soffro di sensibilità al glutine non celiaca?
Non esistono biomarker specifici. Per diagnosticare questa condizione occorre escludere la celiachia, l'allergia al grano e anche la sindrome dell'intestino irritabile, che ha sintomi in parte sovrapponibili a quelli della GS. In pratica con una accurata anamnesi alimentare e un po di pazienza si riescono a gestire entrambe le condizioni.

La dieta senza glutine può essere completa ed equilibrata?
Certamente si
E' possibile coprire tranquillamente le esigenze energetiche e nutritive di adulti, bambini, sportivi con alimenti naturalmente privi di glutine.
Attenzione però a non sbilanciare la dieta verso grassi e proteine, magari mangiando il secondo piatto sia a pranzo che a cena perchè "non si sa cosa mangiare di primo".
Volendo (ma non necessariamente) ci si può avvalere dei prodotti elaborati ad hoc per i celiaci, che sono cari (ma forniti gratuitamente ai celiaci con diagnosi certa) e di qualità e gusto in continuo miglioramento.
Soprattutto all'inizio, è utile consultare un nutrizionista.

Esistono dolci senza glutine?
Certo, e sono molti. In rete si trovano foto e ricette, ma basta citare: castagnaccio, torta di riso, panna cotta etc. 

Senza dimenticare la cioccolata.

Spesso poi, è meglio farli da se che eccedere nel consumo di dolci e biscotti confezionati.



Sono celiaco e mi hanno consigliato il Kamut, va bene?
No, il Kamut è una varietà di frumento. 
E come tale, contiene glutine. Se invece sei negativo alla celiachia ma hai notato problemi lievi e transitori con la digestione della pasta tradizionale, i prodotti a base di Kamut (meglio chiamarlo grano Khorasan) possono fare il tuo caso. Ma sono da segnalare altre varietà di grano, al momento meno diffuse ma non introvabili, che hanno un contenuto di glutine decisamente più basso, come la Verna.



Mangio pasta e pane integrale: va bene?
No.


Se hai (o ritieni  di avere) problemi con il glutine non li risolvi  mangiando integrale. Se mangiando integrale il gonfiore passa, il problema non era il glutine che è presente tanto nella pasta integrale che in quella raffinata.


Per quanto tempo devo seguire la dieta senza glutine?
Tutta la vita, in caso di celiachia. Mentre nel caso della sensibilità al glutine non celiaca la questione è ancora in fase di definizione e a volte piccole quantità di glutine sono tollerate senza problemi.

La dieta senza glutine fa dimagrire?
No e poi no. Assolutamente no.
La dieta senza glutine è "un male necessario" che complica la vita, soprattutto all'inizio, a celiaci e GS ma non è raccomandata ai soggetti normo tolleranti. Che possono avere più danni che benefici dall'astensione dal glutine, non ultimo uno spreco di soldi. Si segnala poi che i prodotti senza glutine hanno spesso un indice glicemico superiore ai corrispondenti alimenti tradizionali (es: pasta gluten free Vs pasta tradizionale) perché il glutine è una proteina, e le proteine abbassano l'IG degli alimenti.










venerdì 2 ottobre 2015

L'indice glicemico della carota: perchè non ci deve preoccupare......

Non vi racconto niente di nuovo: il concetto di indice glicemico degli alimenti (IG) è stato sviluppato da Jenkins all'inizio degli anni ottanta e dovrebbe essere arcinoto a chi si occupa di nutrizione.

Ma la rete pullula di tabelle degli indici glicemici, e di siti che ne illustrano sommariamente, a volte proprio in maniera errata, il significato e l'utilità. E infatti capitano in ambulatorio pazienti che rifiutano di mangiare alimenti come le carote, o la zucca, utili e innocui, ma colpevoli di avere "un alto indice glicemico". 

Nell'ultima settimana me ne sono capitati ben 4.
Mi è venuta un improvvisa voglia di fare un post sulla carota.



Dunque: intanto, l'Indice Glicemico di un alimento indica la velocità con cui 50 g di carboidrati in esso contenuti provocano un rialzo della glicemia. Alimenti con IG elevato provocano una rapida risposta glicemica e insulinica, il che si traduce facilmente in accumulo di grasso, specie a livello addominale. Alimenti a basso IG provocano una risposta lenta, il che tra l'altro si traduce in un prolungato senso di sazietà, perché i substrati energetici sono come centellinati e durano a lungo. Questo in estrema, e forse brutale sintesi di uno stato dell'arte che non è così semplice ed è, come sempre, in continua evoluzione.

Si sente dire, e si legge, che se vogliamo tenere il peso sotto controllo basta scegliere alimenti a basso IG ed evitare gli altri. Consultando le apposite tabelle. Facilissimo. Ora, tra gli alimenti ad alto IG diverse fonti segnalano (o segnalavano) zucca e carote. Da cui il divieto di questi ortaggi per sovrappeso e diabetici.

Perché questo ragionamento non funziona?

1) Intanto, perché non tiene conto della effettiva quantità di carboidrati presenti in un alimento.

L'IG si riferisce a 50 g di carboidrati provenienti da un dato alimento. Ma per ottenere 50 g di carboidrati dalle carote, o dalla zucca, occorre mangiarne una porzione enorme. Con  una o 2 carote, abbiamo pochissimi zuccheri, che faranno alzare la glicemia in maniera molto lieve.

 La misura dell'IG ha senso solo per alimenti effettivamente ricchi di carboidrati, come pasta, riso, patate, bibite dolci. In un prossimo post parlerò dell'IG come criterio di scelta per pasta, riso e cereali diversi.  Non è utile per quei cibi che di carboidrati ne hanno pochi, come le verdure. 

2) Inoltre l'IG della verdura (e della frutta) dipende largamente dalla varietà e dal grado di maturazione. E infatti, recenti studi hanno decisamente rivalutato, abbassandolo, il famoso IG della carota.

3) Infine, e non è un particolare, l'effetto sulla nostra glicemia di ogni singolo alimento è largamente influenzato dalla composizione dell'intero pasto, che non è mai composto di una cosa sola. 

Non è assolutamente il caso di complicare, e complicarsi, la vita facendo una classifica della verdura , eliminando quella con indice glicemico più alto, o quella ritenuta "più" zuccherina. 

Questo è un sistema per ridurre la varietà dei cibi a disposizione di chi sta a dieta.
  Si finisce per mangiare sempre le stesse cose, annoiandosi e mettendo a rischio la copertura dei fabbisogni di nutrienti che è invece assicurata dalla assunzione di tutti gli ortaggi e che ogni stagione ci mette a disposizione.
 Veramente, non ce n'è bisogno.






giovedì 30 luglio 2015

Derivati della soia: perché possiamo farne a meno

La soia è una  pianta che appartiene alla famiglia delle leguminose, come i fagioli, le lenticchie, i ceci e i piselli.  Diversamente da queste però non fa parte della nostra tradizione alimentare mediterranea e italiana, ma è entrata nell'uso comune in tempi recenti e soprattutto in certe fasce di consumatori: giovani e donne.

Il motivo per cui la soia e soprattutto i suoi derivati sono consumati dalle donne risiede nelle presunte qualità salutistiche di questo legume.

La soia è una buona fonte di proteine vegetali, di fibra, di sali minerali e di fitoestrogeni, molecole vegetali che hanno un'attività ormonale paragonabile a quella estrogeni, anche se meno potente.
È proprio in virtù di questo che alimenti ricchi di soia sono spesso consigliati per sopperire alla caduta degli estrogeni in menopausa, e infatti è noto che le donne orientali, la cui alimentazione è ricca di soia, non accusano i fastidiosi sintomi da carenza di estrogeni.

Ma proprio la presenza di fitoestrogeni rende la soia un cibo poco adatto a bambini e adolescenti, nonché donne in gravidanza. E anche il ruolo (positivo o negativo) dei fitoestrogeni nella prevenzione oncologica, ad esempio nei confronti del tumore al seno, è ancora oggetto di controversie. E infine, non si può attribuire alla sola soia l'effetto protettivo dell'alimentazione orientale nei confronti dello stesso tumore.


Soia e soprattutto derivati sono anche largamente usati dai vegetariani, spesso giovani o giovanissimi. Latte di soia, tofu, burgher e polpette, spezzatino, gelato budino e nutella di soia. Biscotti e pane, spaghetti di soia. Con la soia si può fare, o meglio fabbricare, praticamente di tutto. Con il risultato che, se si vuole, si mangia soia dalla colazione alla cena.

La prima osservazione da fare è che tutti questi alimenti sono abbastanza lontani dal fagiolo di soia di partenza. Per ottenere burgher e latte è indispensabile una lavorazione industriale molto spinta che altera profondamente le caratteristiche nutrizionali del legume. E per rendere gradevoli, e quindi vendibili , questi alimenti si aggiungono grassi, sale, esaltatori di sapidità, coloranti. Basta consultare l'etichetta per accertarsene. Tutto fuorché naturali, per intenderci, qualunque sia il significato che si da, in questo contesto, al termine.

Non meraviglia il fatto che questi prodotti siano cari, o comunque più cari degli umili fagioli e ceci, rispetto ai quali non hanno, a mio modesto parere, nessun particolare valore aggiunto.

La soia è ricca di proteine vegetali? Anche i ceci lo sono, e si tratta, come per la soia, di proteine che, per la loro composizione in amminoacidi, si complementano bene con quelle dei cereali.

La soia ha un basso indice glicemico, è ricca di fibra, è indicata in caso di ipercolesterolemia?  Certo, come gli altri legumi.

E come gli altri legumi, contiene anche saponine e fitati che possono interferire con l'assimilazione dei nutrienti. Motivo per cui i legumi, soprattutto quelli secchi, necessitano di ammollo prima della cottura. E motivo per cui in Cina e Giappone, la soia veniva e viene sottoposta a fermentazione per ottenere un alimento tradizionale come la salsa di soia o Tamari.
Che essendo fermentati sono più adatti all'alimentazione umana, un po' come il pane lievitato naturalmente, o lo yogurt.

Infine, forse non tutti sanno che la soia è uno dagli alimenti che più facilmente possono provocare allergia. Proprio in ragione dell'elevato contenuto proteico.

Niente soia quindi?
Non ho detto questo. Un uso limitato, e ragionato, della soia nell'ambito di una alimentazione varia ed equilibrata non è un problema. Ma facciamolo a ragion veduta e, soprattutto per i derivati della soia, leggiamo bene cosa c'è dentro.




venerdì 27 febbraio 2015

La dieta vegetariana ci salverà?

Adesso è di moda, fino a pochi anni fa non la faceva quasi nessuno.
La dieta vegetariana, e addirittura vegana, si sta imponendo come modello alimentare eticamente corretto, salutista e vincente. E lo è, sostanzialmente, se bene equilibrata, ma non è indispensabile, e non è detto che chi mangia alimenti di origine animale rischi necessariamente  la salute.

Il più importante studio epidemiologico sull'effetto delle diete vegetariane e vegane è probabilmente EPIC Oxford, una parte del più ampio studio EPIC che ha interessato 10 paesi europei, 520.000 persone di entrambe i sessi, seguite per molti anni, fino al 2009.  EPIC Oxford ha coinvolto soggetti residenti nel Regno Unito, suddividendoli in 4 categorie: carnivori, pescivori, vegetariani e vegani.

I risultati dello studio hanno mostrato che, sebbene la mortalità complessiva dei quattro gruppi non sia molto diversa, i vegani hanno  minore mortalità per cardiopatia ischemica e per alcune forme di cancro, tra cui quelle ormone dipendenti e il tumore al colon. I vegetariani e i pescetariani si trovano in una condizione intermedia tra i carnivori e i vegani stretti.

La dieta vegetariana di salverà?  


Forse le cose non sono semplici come sembrano. 

Intanto: vegetariani e vegani, in media più giovani, colti e benestanti rispetto ai carnivori, mostravano abitudini di vita più sane di questi, come l'attività fisica, l'astensione al fumo e (ovviamente, ma è bene ricordarlo) un maggiore consumo di prodotti ortofrutticoli. Il che si traduce, tra l'altro in una migliore forma fisica, come dimostra il più basso Indice di Massa Corporea della categoria.

E' probabile che siano anche questi fattori ad avere un ruolo positivo sulla minore mortalità. Come dire che, per vivere a lungo, aiuta essere un po' radical chic....

E' anche difficile generalizzare questi risultati, ottenuti su popolazione nord europea con abitudini alimentari ben diverse, ad esempio, da quelle mediterranee. Questo studio potrebbe essere interpretato come una conferma indiretta della salubrità dello stile di vita mediterraneo, largamente basato su prodotti vegetali.

Ed è probabile che sia proprio il consumo di vegetali, e soprattutto frutta e verdura, più che l'astensione dai prodotti animali, la marcia in più delle diete vegetariane. Ma cosa c'è di tanto prezioso nella frutta e nella verdura?

Riassumendo e schematizzando:

Antiossidanti: per disinnescare i radicali liberi, potenzialmente dannosi per il DNA
Fibra:  abbassa il carico glicemico della dieta, e lo stato di infiammazione; permette di saziarsi con meno calorie e da ultimo migliora l'ecosistema e il transito intestinale.

In attesa di dati inequivocabili e conclusivi, che probabilmente non arriveranno mai, quello che consiglio a tutti è di consumare largamente alimenti vegetali (cereali integrali, legumi, frutta, verdura e frutta secca oleosa) limitando eventualmente il consumo di alimenti animali  alla quantità che ci permetta una agile copertura di alcuni fabbisogni nutritivi (calcio, vitamina B12) e non ultimo una normale vita sociale e familiare.


domenica 15 febbraio 2015

Colesterolo, farmaci, integratori, stile di vita

L'ipercolesterolemia rappresenta un importante fattore di rischio per le patologie cardio e cerebrovascolari; uno degli interventi di prevenzione è quello di ottenere l'abbassamento dei livelli di colesterolo nel sangue. I farmaci più usati per questo scopo sono le statine, di provata efficacia ma spesso gravati da effetti collaterali, quali miopatia e più raramente epatotossicità, che possono compromettere la qualità della vita, e la compliance alla terapia.


Non è un caso che in questi decenni vada di moda la ricerca di integratori e "prodotti naturali" alternativi alle statine. Tra questi posso citare gli integratori a base di riso rosso fermentato e i fitosteroli.



Il riso rosso fermentato si ottiene dalla fermentazione del riso e viene usato sia come alimento (è un condimento, insaporitore) che come integratore. E' un presidio della medicina tradizionale cinese.
Efficace, e non a caso, nell'abbassare la colesterolemia, il riso rosso fermentato contiene una classe di molecole, le monacoline, molto somiglianti chimicamente alle stesse statine. Anzi, la monacolina K è uguale alla Lovastatina, una statina di uso farmacologico.


I prodotti a base di riso rosso fermentato sono inquadrati come integratori anche se contengono una molecola di uso farmacologico. Il loro impiego permette di abbassare la colesterolemia ma può comportare gli stessi effetti collaterali tipici delle statine a fronte di un minore controllo sia del prodotto (la normativa in materia di integratori è molto più blanda rispetto a quella sui farmaci) che sulle modalità di assunzione (un prodotto di libera vendita può essere acquistato e assunto da chiunque e in tutti i modi).  Sarebbe preferibile assumere riso rosso fermentato sotto controllo medico, o comunque con le dovute cautele.

Altra classe di integratori ipocolesterolemizzanti sono i fitosteroli, che si possono descrivere come molecole simili al colesterolo ma di origine vegetale, che proprio grazie a questa somiglianza possono competere con il colesterolo (di origine esclusivamente animale) per l'assorbimento intestinale.

 Vale la pena di ricordare però che la maggior parte del colesterolo circolante nel sangue non deriva dalla dieta, non viene assunto con gli alimenti, ma viene sintetizzato dal nostro stesso metabolismo. Per questa ragione non è raro che soggetti strettamente vegani abbiano livelli elevati di colesterolemia, a dispetto della totale astensione dai prodotti di origine animale.


Integratori o meglio nutriceutici a base di fitosteroli sono gli yogurt da bere, prodotti da diverse ditte, che permettono di ottenere un certo abbassamento della colesterolemia, avendo l'accortezza di assumerli nel contesto di un pasto ricco di colesterolo.

 Un vasetto di yogurt ai fitosteroli diminuisce l'assorbimento del colesterolo presente in una omelette al formaggio, ma non ha nessun effetto dopo un piatto di ribollita o un riso con i piselli. E non serve nemmeno se assunto lontano dai pasti. Nel valutare il rapporto tra costi e benefici di questo tipo di prodotti devo segnalare anche la possibile presenza di zucchero (per accertarsene basta leggere l'etichetta) che può aumentare il rischio cardiovascolare mediante un aumento del carico glicemico del pasto. Cosa mai desiderabile.


Per finire, senza per forza voler concludere l'argomento, il mio ruolo di nutrizionista mi suggerisce che ci sono altre strade, alternative a farmaci e integratori, per ottenere un abbattimento del rischio cardiovascolare. 

Sto parlando dell'alimentazione e dello stile di vita.


Abbiamo a disposizione molti alimenti che possono, con vari meccanismi, migliorare il nostro profilo lipidico (e agire anche su altri fattori di rischio)  se inseriti in una dieta equilibrata e personalizzata, in assenza di effetti collaterali e di costi elevati per il paziente.


Il famoso CLADIS, pecorino toscano DOC che  non aumenta, ma anzi sembra abbassare, i livelli di colesterolo nel sangue, è una buona notizia per tutti gli estimatori del delizioso prodotto. E molti altri ottimi alimenti ci possono aiutare, senza penalizzare la gola, ne la linea.

 Con una consulenza alimentare personalizzata, una attenta scelta e utilizzo di questi alimenti, si ottengono spesso risultati soddisfacenti sul piano della prevenzione e, non secondariamente, della qualità della vita. 

Quali sono questi alimenti? Lo scriverò nel prossimo post :)



lunedì 2 febbraio 2015

Dieta, infiammazione e dolore

In caso di infiammazione cronica, come le malattie reumatiche e le malattie infiammatorie intestinali, ci sono due possibili strategie per stare meglio senza gli effetti collaterali dei farmaci.

Possiamo:
  • abbassare il carico glicemico della nostra dieta
  • riequilibrare il rapporto tra l'assunzione di acidi grassi omega 6 e omega 3

Sono obiettivi facili e a basso costo, mentre è un poco più complesso spegare il meccanismo per cui questi accorgimenti funzionano.  Io ci provo.

Intanto, il carico glicemico è l'impatto dei cibi sulla glicemia e sull'insulinemia.
Per abbassarlo possiamo calare leggermente la percentuale dei carboidrati a favore di un modesto aumento dei lipidi, sempre rispettando le raccomandazioni proposte dai LARN (Livelli di Assunzione Raccomandati di Nutrienti ed energia) che nell'ultima edizione, del 2014, lasciano maggiore libertà rispetto a questi macronutrienti.

Attenzione: non eliminare i carboidrati, che non è ne utile ne fattibile, ma di diminuirne il consumo. E soprattutto sceglierli a minore indice glicemico.

Per esempio:

  • Sostituire pane e pasta raffinati con quelli integrali.
  • Meglio ancora del pane integrale è quello con farina di orzo o di segale, oltretutto più buono.
  • Usare spesso i cereali  in chicchi, invece che paste e sfarinati. Farro, orzo, avena, riso integrale.
  • Preferire la frutta intera a spremute, frullati, centrifugati (e soprattutto ai succhi!).
  • A colazione: muesli (con avena, orzo e frutta oleosa) al posto di biscotti e corn flakes. Questi ultimi sono tra gli alimenti a maggior impatto glicemico, mentre i bicotti sono una fonte insospettabile di grassi, spesso di discutibile qualità. 
  • Questi accorgimenti a colazione hanno un impatto superiore a quello ottenuto sostituendo lo zucchero con il dolcificante!

Infine, distribuire i carboidrati in tutto l'arco della giornata ( l'opposto della dieta dissociata!).

Così si abbassa l'insulinemia, il che avrà, tra l'altro, un impatto positivo su dolore e infiammazione cronica.

Altro aspetto importante è il riequilibrio del rapporto tra gli acidi grassi  omega 6 e omega 3. I primi hanno attività proinfiammatoria mentre i secondi contrastano l'infiammazione.

Tra queste due classi di nutrienti il rapporto di assunzione ottimale sarebbe  pari a 3 a 1, mentre nella dieta italiana attuale è di circa 16 a 1,  con un complessivo e importante deficit relativo di acidi grassi essenziali della serie omega 3.  Questo si riperquote, verosimilmente, sulla suscettibilità all'infiammazione, che tende a diventare cronica.

  • Fonte di omega 6 sono soprattutto i semi e i relativi olii, e secondariamente l'olio di oliva (che è un olio da frutto e non da seme) e la frutta oleosa.
  • Fonte dei preziosi  omega 3 sono i pesci, soprattutto il pesce azzurro (alici, acciughe, sgombro etc) e il salmone.

Senza fare tanti calcoli, che poi non è facile tradurre in raccomandazioni pratiche, il mio consiglio è semplicemente:

  • Aumentare il consumo di pesce, dando la precedenza a quello azzuro.
    sgombro sfilettato all'aceto
  • Si, anche quello in scatola.
  • Diminuire l'uso dell'olio ed evitare quello di semi

Piccoli cambiamenti nel quotidiano che possono aiutarci a stare meglio.


giovedì 8 gennaio 2015

Kamut e grano Khorasan , marchio registrato o km zero?


Il grano Khorasan è una varetà arcaica di grano duro originaria dell’Iran.

Il termine KAMUT si riferisce al grano di varietà Khorasan coltivata in USA dall'azienda che ne ha brevettato il marchio, e garantisce che tutto il prodotto messo in commercio con questo nome provenga da agricoltura biologica e sia privo di contaminazione con sementi di altre varietà di grano.

Una sorta di cereale DOC .

La società che ha registrato il marchio Kamut non ha l’esclusiva della coltivazione del grano Khorasan che viene tuttora coltivato in Medio Oriente, e anche in Italia.


I prodotti a marchio Kamut (farine, pasta, pane, biscotti etc) sono sempre fatti con grano USA.   Prodotti biologici, ma non a km zero!

Gli stessi alimenti a base di grano Khorasan non possono recare il marchio Kamut, ma ne condividono le proprietà, sono fatti in Italia e costano meno.

 Perché i prodotti firmati si pagano!

Il Kamut, ampiamente pubblicizzato è ben noto al popolo del mangiar sano. In commercio è facile trovare prodotti a base di Kamut, presso i negozi specializzati ma anche nella grande distribuzione. Meno facile è trovare prodotti a base di grano Khorasan, che non è stato oggetto di grande pubblicità e quindi è meno noto a rivenditori e consumatori.

Ma quali  proprietà nutrizionali accomunano il Kamut al grano Khorasan?

Intanto: si tratta di una varietà di grano duro, e quindi sostanzialmente un alimento ricco di carboidrati, con un modesto apporto proteico, pochi lipidi (l’apporto di fibra e micronutrienti dipende dal grado di raffinazione della farina e dal metodo di macinazione).

Rispetto al grano duro comune il Khorasan – Kamut presenta:

·        un apporto proteico leggermente più alto 
·        un apporto di carboidrati leggermente inferiore
·        apporto lipidico leggermente superiore
·        apporto energetico leggermente superiore
·        meno fibra
·   
Meno chiara è la spiegazione della maggiore digeribilità del Khorasan Kamut rispetto al grano duro comune, dato che però è confermato anche dalla mia esperienza di ambulatorio. In effetti, molti pazienti che lamentano reazioni avverse al grano non hanno gli stessi problemi con il Khorasan Kamut. Ma questo non è sempre vero.

Il Khorasan Kamut ha un Indice Glicemico inferiore al grano comune in virtù della maggiore quota proteica.

Riassumendo, e per concludere:
I prodotti (e in particolare la pasta) a base di Khorasan Kamut trovano indicazione
  • ü nella dieta di chi ha problemi con il grano.
  • ü nel diabete tipo 2, nella sindrome metabolica e obesità centrale
  • ü Non sono adatti ai celiaci!!  (Kamut e grano Khorasan contengono glutine!)

 

I prodotti a base di Khorasan Kamut sono cari.

 Ma il Khorasan di solito è meno caro del Kamut, ed è un prodotto locale.




Altre varietà di grano coltivate localmente come la senatore Cappelli e la Verna (in Casentino, e in Lucchesia Toscana) hanno caratteristiche interessanti. Provatele, aiuterete la biodiversità…..

martedì 6 gennaio 2015

Dieta del dopo Befana

E dopo la Befana, tutte a dieta!

Si calcola che saranno più di milione le donne (chissà perchè solo donne...) che passata l'Epifania si metteranno a dieta per smaltire i chili di troppo guadagnati durante le feste. E guarda caso, proprio adesso iniziano le pubblicità dei prodotti dietetici, delle diete miracolose, i consigli più improbabili dei guru più strampalati.

Se siete ancora indecisi tra la dieta dell'uva, quella del minestrone, del gruppo sanguigno e del codice a barre, del numero di piede o del segno zodiacale, mi permetto di dire anche io la mia.

Quest'anno vi consiglio la dieta del buon senso.
Già sentita? Sicuri?

  •  si ispira ai principi della scienza dell'alimentazione (non mi stancherò mai di dirlo, è una scienza, non una moda;
  • tiene conto delle caratteristiche individuali della persona che la segue;
  • prevede appunto buon senso ed elasticità. Perchè tutte le cose rigide prima o poi si rompono.
  • non promette miracoli ma si pone obbiettivi, cominciando con quello di non ritrovarsi, a Befana 2016, di nuovo indecisi sulla dieta da seguire.


Astenersi perditempo!
E un ultimo consiglio, da antiguru dell'alimentazione: prima di partire in tromba con la dieta che avete scelto, provatevi i jeans del mese scorso, il costume, se andate in piscina, e guardatevi allo specchio.

 Siete così sicure di dover dimagrire?
 Perchè non siete obbligate a farlo. 

Magari state bene così, o comunque vi piacete, così come siete. Solo voi potete dirlo, non lasciatevi influenzare (stavo per usare un altro termine) dalla stessa pubblicità che a dicembre vi ha spinto a ingozzarvi e adesso vorrebbe farvi digiunare a gennaio. 

Se vi metterete (uomini e donne) a dieta anche quest'anno, fate che sia una scelta vostra.

E quindi non fatevi mancare l'unico ingrediente irrinunciabile per una sana alimentazione: la motivazione.

Buona Befana a tutti.