Obeso e contento.
Come (e perché)
intervenire
Non tutti i soggetti obesi hanno disturbi del
comportamento alimentare. Sono numerosi, soprattutto tra i
meno giovani e tra i pazienti di sesso maschile, gli obesi che
hanno un buon rapporto con il cibo e con le loro immagine corporea. Queste persone, all’anamnesi alimentare mostrano di consumare una grande varietà di
alimenti, fanno pasti regolari, magari abbondanti, sono golosi
ma non ossessionati dal cibo, non provano
sensi di colpa. Spesso si rivolgono al nutrizionista per la prima volta su consiglio
del medico che ha rilevato problemi, come l’ipertensione o il diabete senile,
legati al sovrappeso.
In questi casi è necessario ottenere un calo ponderale
con una dieta ipocalorica e un miglioramento dello stile di vita del paziente, evitando
di rendere problematico e patologico il
rapporto con il cibo.
Non
tutti i pazienti che seguono una dieta ipocalorica sviluppano un DCA. La possibile insorgenza di DCA è legata alle
caratteristiche del paziente, alle caratteristiche della dieta e alla qualità
del rapporto nutrizionista-paziente.
Sono a rischio di DCA le persone perfezioniste, sensibili e con una bassa autostima, caratteristiche frequenti nel sesso femminile. E’ opportuno incoraggiare nel paziente sottoposto
ad una dieta ipocalorica, una certa elasticità nell’interpretare le indicazioni ed una certa autonomia, evitando
posizioni rigide e obiettivi
poco realistici come la perdita di un dato
numero di chili in un mese.
Dal punto di vista del rapporto tra nutrizionista e
paziente, sono deleteri alcuni atteggiamenti quali: colpevolizzare
il paziente (spesso ci pensa da solo…) drammatizzare
e porre eccessivo accento sui rischi (spaventare il paziente), fare appello alla sua forza
di volontà, rimproverare il paziente che non
segue la dieta, magari alzando la voce. Episodi di questo tipo sono ricorrenti nel vissuto degli
obesi di vecchia data e sono purtroppo ancora
comuni in chi prescrive diete dimagranti.
Favorisce l’instaurarsi di un DCA una dieta troppo
ipocalorica rispetto alle esigenze del
paziente e squilibrata rispetto
all’apporto di nutrienti. In particolare sono deleterie le diete iperproteiche
a basso apporto di carboidrati (le diete che eliminano o razionano drasticamente il pane e la pasta),
così comuni e spesso praticate in autonomia, senza l’appoggio di un
nutrizionista, e anche quelle che eliminano qualunque tipo di alimento dolce
(compresi certi tipi di frutta e addirittura di ortaggi, definiti
“zuccherini”).
E’ pericoloso in generale eliminare dalla tavola alimenti
importanti dal punto di vista nutritivo, di largo impiego e graditi al
paziente, senza che ce
ne sia reale e dimostrata necessità. ,
Infine è pericoloso somministrare diete
generiche e impersonali che non tengano
conto dei gusti e dello stile di vita del paziente.
Il regime consigliato dovrebbe essere blandamente
ipocalorico ed equilibrato
nella composizione dei nutrienti. Dovrebbe
essere incoraggiata l’assunzione di una grande varietà di cibi, senza escludere
nulla che non sia effettivamente nocivo per la salute (es: il glutine nei
celiaci) ma lavorando sulle frequenze di consumo. E’ importante motivare sempre le indicazioni alimentari e istruire il paziente
ad operare le sue scelte nell’ambito di alimenti con analogo valore nutritivo. Incoraggiare
un rapporto con il cibo sereno e consapevole.
Una dieta di questo tipo favorisce il miglioramento del
rapporto con il cibo, migliorando la qualità della vita e la salute del paziente.